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Prescrizione e notifica delle misure cautelari: le maglie larghe degli atti interruttivi

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Con la sentenza n. 7123/2019, la Sezione Sesta della Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul tema dibattuto della prescrizione dell’illecito amministrativo dell’ente dipendente da reato.
In particolare, la società ricorrente aveva impugnato la sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Firenze, che la obbligava a pagare la sanzione di 140 quote, relativamente alla contestazione dell’illecito amministrativo di cui agli artt. 5 lett a) e b) e 25 d.lgs. 231/2001, a causa di presunti fenomeni corruttivi che, compiuti nell’interesse e a vantaggio dell’ente, avrebbero agevolato la sua attività.
La ricorrente lamentava, tuttavia, la nullità della notifica del provvedimento con cui era stata emessa la misura cautelare interdittiva. Da qui, discendeva che il decorso della prescrizione non sarebbe stato validamente interrotto, se non dalla formale contestazione dell’illecito ex art. 59 d.lgs. 231/01 avvenuta a ben sette anni di distanza dalla data del commesso reato.
L’illecito amministrativo, invero, ha un regime di prescrizione diverso da quello del reato presupposto e si prescrive in cinque anni, che erano, quindi, ampiamente trascorsi.
La Suprema Corte, dunque, è chiamata a pronunciarsi sulla capacità interruttiva di una notifica nulla, poiché irregolare. Dapprima, la Corte ricorda che la notifica della misura cautelare interdittiva è uno degli atti tipici interruttivi indicati dalla norma. Infatti, il comma 2 dell’art. 22 d.lgs. 231/01 così dispone: “Interrompono la prescrizione la richiesta di applicazione di misure cautelari interdittive e la contestazione dell’illecito amministrativo a norma dell’articolo 59.”
In secondo luogo, afferma che intende aderire all’orientamento per cui la notifica si considera atto interruttivo anche se nulla! Secondo un filone giurisprudenziale che ha preso piede negli ultimi anni, infatti, gli atti interruttivi della prescrizione vengono ritenuti idonei a conseguire lo scopo anche se nulli, “in quanto rilevano per il loro valore oggettivo di espressione della persistenza dell’interesse punitivo da parte dello Stato”.
Secondo quest’impostazione, non è “necessario che l’atto sia notificato agli interessati ma è sufficiente che esso sia emesso”!
Per questi motivi, la Suprema Corte ritiene che la prescrizione sia stata validamente interrotta e rigetta il motivo di ricorso.
Quest’orientamento appare difficilmente condivisibile. Da un lato, ha il pregio di valorizzare la componente teorica per cui l’atto interruttivo della prescrizione debba risolversi nella manifestazione della persistenza della volontà punitiva. D’altro canto, tuttavia, come può quest’atto costituire tale manifestazione se non è percepito dal suo diretto destinatario perché irregolare o nullo? Non si dimentichi, fra l’altro, che la notifica del provvedimento con cui si applica misura cautelare ha – necessariamente – natura recettizia. Natura che viene completamente stravolta ed azzerata dall’impostazione in esame.
Inoltre, il regime di prescrizione per l’illecito amministrativo dell’ente dipendente da reato disegnato dal decreto è stato già ampiamente criticato, poiché l’atto interruttivo comporta anche un effetto sospensivo che si protrae fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio. In effetti, il legislatore ha optato per un tipo di prescrizione mutuato dal sistema civilistico, che presenta profili di criticità rispetto al processo penale che l’ente subisce.
Allora, è evidente che il tempo di prescrizione si dilata in maniera infinita, a differenza di quello richiesto per il reato presupposto. Se a ciò si aggiunge una simile interpretazione giurisprudenziale, si comprende come l’illecito dell’ente non si prescriva quasi mai, vanificando di fatto l’operatività dell’istituto.

Avv. Michele Bonsegna

Avv. Serena Miceli