Il sistema di responsabilità da reato degli enti collettivi è stato salutato quindici anni fa come una rivoluzione epocale del diritto italiano: infatti, dopo che per secoli aveva dominato l’idea che solo la persona fisica (art. 27 Cost.) e non la persona giuridica potesse commettere reati (societas delinquere non potest), il legislatore ha cambiato rotta per fronteggiare il diffondersi di gravi fenomeni patologici di criminalità di impresa.
Così facendo, con il D.lgs. 8 giugno 2001 n. 231 l’ordinamento giuridico interno si è allineato ai numerosi altri ordinamenti – prevalentemente di Common Law – nel prevedere la sanzionabilità di un ente collettivo in relazione a fatti di reato commessi da persone fisiche nel suo interesse o a suo vantaggio.
In altre parole, il diritto italiano riconosce che gli enti e le società commerciali possono delinquere ed essere sanzionati se gli amministratori o i dipendenti hanno realizzato taluni tipi di reato – tassativamente previsti dal decreto stesso all’art. 24 e ss. − e se l’ente o le società ne hanno tratto un interesse o un vantaggio.
Come può un ente, quindi − secondo i dettami del decreto 231/2001 −, evitare che si ripercuota addosso la responsabilità penale per atti illeciti commessi da amministratori (soggetti apicali) o dipendenti?
La risposta è quella che fa tremare le gambe ai professionisti che operano in questo settore: “basterà dotarsi di un modello organizzativo idoneo”!
Un modello, cioè, in grado di:
-tipizzare tutte le attività poste in essere dai soggetti apicali e dipendenti nello svolgimento delle mansioni aziendali;
-individuare ex ante un elenco di regole comportamentali atte a scongiurare il verificarsi e la commissione dei reati presupposto.
La presenza e l’efficace attuazione di un modello organizzativo, quindi, può consentire all’ente di dimostrare alla magistratura che i soggetti apicali (o i loro sottoposti) hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi eludendo fraudolentemente le “regole” societarie: in tal modo il procedimento penale si instaurerebbe a carico della sola persona fisica senza il coinvolgimento dell’ente stesso.
La responsabilità da reato dell’ente sussiste solo quando l’illecito penalmente rilevante:
a) è stato posto in essere dal determinato novero di soggetti di cui agli articoli 5 e 6 del decreto legislativo
b) sia stato compiuto nell’ interesse o vantaggio della persona giuridica.
Quindi, per cristallizzare in capo all’ente la responsabilità amministrativa per il fatto illecito commesso dal privato dovrà essere individuato in concreto l’interesse o il vantaggio conseguito dalla società a seguito del comportamento penalmente rilevante posto in essere.
Come confermato dalla costante giurisprudenza, un reato è commesso nell’interesse dell’ente non solo quando esso rientra nella “politica d’impresa”, ma anche quando esso si realizza a causa della mancanza di strumenti di controllo tali da evitare la commissione di reati del tipo di quello verificatosi.
Si ha mero vantaggio, invece, quando l’ente consegue anche un beneficio economico dalla commissione dell’illecito penale.
Nel caso in cui, quindi, il reato è commesso da soggetti apicali (o dipendenti) nell’interesse o a vantaggio dell’ente, quest’ultimo potrà essere coinvolto, per responsabilità “amministrativa”, nel processo penale a carico della persona fisica.
La società nel corso del procedimento penale potrebbe andare incontro a sanzioni particolarmente pesanti, applicabili sia seguito della sentenza definitiva di condanna quanto in sede cautelare:
La società, ai sensi dell’art 6 comma 1 del decreto231/2001, non risponde del reato commesso se prova che:
Il decreto legislativo 231 disciplina il sistema di responsabilità da reato degli enti collettivi ed è stato salutato oltre quindici anni fa come una rivoluzione epocale del diritto italiano: infatti, dopo che per secoli aveva dominato l’idea che solo la persona fisica e non la persona giuridica potesse commettere reati (societas delinquere non potest), il legislatore ha cambiato rotta per fronteggiare il diffondersi di gravi fenomeni patologici di criminalità di impresa. Così facendo, con il d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, l’ordinamento giuridico interno si è allineato ai numerosi altri ordinamenti – prevalentemente di Common Law – nel prevedere la sanzionabilità di un ente collettivo in relazione a fatti di reato commessi da persone fisiche nel suo interesse o a suo vantaggio.
Con le riforme del 2009, prima, e quella citata dell’agosto del 2011, poi, il legislatore ha previsto che le società potranno rispondere della così detta “colpa da organizzazione” ex d.lgs. 231/2001 anche per i reati in materia di sicurezza e ambiente.
Orbene, come anticipato, oggi oltre che il vertice societario risponde del reato commesso anche la società a cui potranno essere comminate le seguenti sanzioni amministrative e interdittive (art. 9 del D. Lgs. 231/2001):
La dotazione da parte della società del Modello Organizzativo gestionale 231 può servire a meglio cristallizzare le responsabilità penali del vertice societario (con l’esclusione dell’imputabilità per chi il reato non lo ha commesso), al fine di escludere il concetto di interesse e vantaggio per la società, scaturente dal comportamento penalmente rilevante posto in essere da un apicale o sottoposto (artt. 5 e 6), con il preciso scopo di non sottoporre la società alle conseguenze di cui al citato articolo 9.
Lo Studio legale Bonsegna offre alle società e agli enti interessati la consulenza necessaria a dotarsi del Modello Organizzativo suddetto, del Codice Etico e di tutti i Protocolli comportamentali necessari per adeguarsi ai principi di cui al D. Lgs. 231/2001 e per ottenere una serie di vantaggi significativi ed atti a garantire: