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L’ultima pronuncia del Consiglio di Stato in materia d’interdittiva antimafia: modus in rebus

interdittiva antimafia

 

La sentenza n. 3138/2018 del Consiglio di Stato muta le carte nella partita interdittiva antimafia-clausola sociale.

Il caso

Infatti, il supremo organo di giustizia amministrativa, chiamato a pronunciarsi sulla legittimità di un’interdittiva antimafia impugnata dalla società che l’aveva subita, ha deciso di annullarla, ribaltando il giudizio del Prefetto e del giudice di prime cure.
Ha ritenuto, in effetti, che l’impostazione adottata da chi lo aveva preceduto fosse fallace perché basata su presupposti che, considerati in maniera unitaria, non avrebbero forza giustificativa della misura.

I dipendenti: spia dell’infiltrazione mafiosa?

Quanto al punto di maggior interesse, e cioè la situazione dei dipendenti, la sentenza assume una posizione decisamente più moderata, affermando che non vi deve essere alcun automatismo fra la presenza di “dipendenti controindicati” e il “tentativo di infiltrazione mafiosa”.
Così non pareva, fino a ieri.
Ciò che conta, secondo la pronuncia, è l’effettiva capacità da parte dell’organizzazione mafiosa di incidere sulle politiche gestionali dell’impresa e “mediante, ciò, di inquinarne la gestione a propri fini”.
Affronta, inoltre, il problema del soggetto sospetto che non potrebbe mai trovar lavoro in alcuna impresa, né pubblica né privata, se si avallasse un simile automatismo. E ciò non può essere.
Precisa, altresì, che, se si accogliesse la tesi propugnata dal Tar, il dipendente controindicato, dovrebbe transitare in seguito alla clausola sociale ed essere poi immediatamente espunto, ma il licenziamento siffatto non pare in linea con la recente giurisprudenza giuslavorista. Si segnala, in proposito, la sentenza recentissima della Cassazione, Sezione Lavoro, n.331 del 10 gennaio 2018. In questa pronuncia la Suprema Corte ha richiesto una maggiore cautela prima della risoluzione del rapporto di lavoro, a maggior ragione nelle more delle impugnazioni del provvedimento prefettizio dinanzi agli organi di giustizia amministrativa.

Ulteriori considerazioni

La sentenza del Consiglio di Stato ha poi l’indubbio pregio di riconoscere che il giudizio sull’impresa non deve prescindere dall’effettiva analisi degli strumenti di cui il datore di lavoro dispone, al fine di vagliare i dipendenti sospetti, ovvero il certificato del casellario e dei carichi pendenti.
Ciò che viene richiesto all’imprenditore, cioè, deve necessariamente essere bilanciato con gli strumenti di cui il legislatore lo dota: non gli si può chiedere di armare una flotta senza navi.
E’ naturale, poi, che vi sia differenza fra i dipendenti transitati per effetto della clausola sociale e quelli assunti dall’impresa in virtù di una libera scelta, rispetto alla quale i protocolli gestionali in materia di assunzione dovranno prevedere un controllo ancor più stringente.

Conclusioni

In sostanza, la sentenza del Consiglio di Stato pare finalmente tendere una mano all’imprenditore, precipitato nel baratro dell’incertezza. Tuttavia, egli, per poter beneficiare delle scriminanti, se così vogliamo definirle, abbozzate dall’organo di giustizia amministrativa, dovrà dimostrare di aver tenuto un comportamento generale votato alla legalità e improntato al massimo utilizzo dei mezzi disponibili per arginare l’avanzata mafiosa nella vita d’impresa.

Avv. Serena Miceli

Avv. Michele Bonsegna