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I complessi rapporti fra interdittiva antimafia e controllo giudiziario: si esprime l’Adunanza Plenaria

Il 13 febbraio scorso sono state finalmente depositate le motivazioni della sentenza n. 8/2023 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
Si tratta di una pronuncia molto attesa perché pone fine a un contrasto interpretativo sorto con specifico riguardo ai rapporti intercorrenti fra l’interdittiva antimafia emessa dal Prefetto e il controllo giudiziario disposto dal Tribunale penale, sezione misure di prevenzione, ai sensi dell’art. 34-bis del codice antimafia.

Come noto, la misura interdittiva antimafia può essere impugnata dinanzi al competente Tribunale amministrativo e il Giudice adito sarà chiamato a esprimersi sulla legittimità della decisione assunta dall’Organo prefettizio.
A seguito della impugnazione dell’atto amministrativo, sarà il Tribunale penale ad ammettere la persona giuridica attinta dalla misura interdittiva che ne abbia fatto richiesta al controllo giudiziario. Due misure e due binari differenti.

D’altro canto, però, lungi dall’essere indipendenti, ciascuna delle citate misure riverbera effetti sull’altra: sicché era lecito domandarsi se il procedimento amministrativo e quello penale avessero dovuto subire una sorta di coordinamento, al fine di non incappare in paradossi kafkiani e circoli viziosi, tendenti a svilire la ratio delle norme applicative delle differenti procedure.

Sul punto è stata chiamata ad esprimersi l’Adunanza plenaria.
Infatti, è successo che le imprese ammesse al controllo giudiziario di cui al 34-bis hanno chiesto la sospensione del procedimento amministrativo introitato (magari solo per ottenere il requisito del ricorso al Tribunale penale) che, a seconda dei casi, poteva versare nella primordiale fase di fissazione di udienza, oppure in fase cautelare o, ancora, della discussione del merito. La sospensione invocata poteva certamente essere giustificata dalla possibilità – a seguito della censura prefettizia – di attendere la “bonifica” ricevuta per mano del controllore, permettendo così alle società di richiedere una nuova iscrizione in white list, senza ricevere mai la pronuncia del Giudice amministrativo originariamente adito.
Infatti, la nuova iscrizione nell’albo dei fornitori prefettizi comporta l’estinzione del procedimento davanti al Tribunale amministrativo, per sopravvenuta carenza d’interesse.

A contrario, nel caso in cui il procedimento amministrativo prosegua anche durante la pendenza del controllo giudiziario, è possibile giungere a una pronuncia che definitivamente ritenga legittima l’originaria interdittiva antimafia: in tal caso, secondo alcuni commentatori, il controllo giudiziario decadrebbe di diritto per mancanza di uno dei suoi presupposti e, cioè, la pendenza del giudizio amministrativo.

Per queste ragioni, con ordinanza del 6 luglio 2022, la Sezione III del Consiglio di Stato ha deferito la questione all’Adunanza Plenaria, chiedendo espressamente di stabilire se l’ammissione dell’impresa interdetta al controllo giudiziario debba comportare la sospensione del giudizio amministrativo in corso.

Invero, l’ordinanza di rimessione stessa non condivide la tesi pur sostenuta da parte della giurisprudenza amministrativa della qualificazione del controllo giudiziario quale “causa necessaria di sospensione impropria del giudizio amministrativo”, poiché propende per la tesi dell’autonomia dei due procedimenti.

Sciogliendo i dubbi sorti nella materia in esame, l’Adunanza Plenaria ha ritenuto di aderire alla tesi dell’ordinanza di rimessione e ha statuito che il procedimento amministrativo non si sospende in virtù e nelle more dell’applicazione del controllo giudiziario: la sentenza ritiene, infatti, che la tesi sospensiva non abbia adeguato fondamento testuale e non sia suffragata neanche da ragioni di ordine sistematico, stante la natura intrinsecamente differente dei due provvedimenti e dei rispettivi procedimenti.

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Avv. Serena Miceli

Avv. Michele Bonsegna