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Non era schiavista ma nessuno lo sa: l’assoluzione dell’imprenditore Sergio Scorza dal reato di estorsione ai danni dei dipendenti (Articolo tratto da PANORAMA, settembre 2016).

Dodici anni sotto processo a Lecce per estorsione ai danni dei suoi dipendenti: la Procura sosteneva che li avesse sfruttati, assetati, affamati. Poi lo scorso 12 febbraio SERGIO SCORZA è stato assolto dal Tribunale Collegiale di Lecce e PANORAMA, nel numero di settembre 2016, ha raccontato la sua storia e ripercorso l’attività di difesa spiegata in questi anni dagli Avvocati Giuseppe Bonbbbsegna, Francesco Galluccio Mezio e Valerio Spinarelli, fino a giungere alla sentenza assolutoria.

di Annalisa Chirico – da Panorama del 28 settembre 2016

Tredici anni di processo contro l’imprenditore «schiavista». Quando nell’autunno 2004 il procuratore di Lecce chiede le manette per Sergio Scorza, l’accusa è proprio «riduzione in schiavitù» ed estorsione. Il giudice accoglie la richiesta, nella forma attenuata degli arresti domiciliari, ma rigetta la suggestione schiavista. Così il 15 novembre Scorza finisce recluso a casa sua. «È stata una botta incredibile» racconta per la prima volta il protagonista di questa vicenda, che all’epoca aveva 50 anni e oggi ne ha 62.

Scorza è un «uomo della terra», pugliese di Nardò, papà contadino e mamma tabacchina: a 16 anni abbandona la scuola per fare l’apprendista elettricista. Poi, rimasto orfano dei genitori a 21 anni, capisce che deve rimboccarsi le maniche per tirare su i cinque fratelli e si mette nell’edilizia. «L’inchiesta si è abbattuta sulla mia vita come un fulmine. Quando il comandante dei carabinieri mi notificò l’arresto, pensai avesse sbagliato persona. Invece in Italia queste cose capitano pure alle persone perbene».

La vicenda inizia nel luglio 2003.quando un operaio di nome Tiziano, impiegato in una delle tre società che fanno capo a Scorza, viene alle mani con un altro dipendente; per l’episodio, il primo viene spostato di squadra e il secondo è sospeso. A distanza di pochi giorni, Tiziano denuncia Scorza raccontando di essere stato malmenato e trattenuto per ore contro la sua volontà. Lo accusa anche di una serie di comportamenti vessatori ai suoi danni, dai turni di lavoro massacranti agli straordinari non pagati, fino a fantomatici «fogli in bianco» firmati sotto minaccia di licenziamento. Con uno strano effetto a catena, alla denuncia di Tiziano seguono quelle di vari altri operai, tutti impiegati nelle società del gruppo, anche da dieci e 15 anni. Parlano di orari massacranti, senz’acqua e senza cibo, di lavoro non pagato… «Io sono salentino di nascita, ma svizzero di testa» afferma Scorza. «Per fortuna le mie aziende sono sempre state gestite nella correttezza puntigliosa. Se non fosse stato così, e se non avessi conservato tutta la documentazione, non sarei riuscito a difendermi».

In effetti, sono le meticolose indagini difensive a scagionare l’imputato «schiavista». Bilanci societari, contratti d’appalto e di assunzioni, buste paga, modelli F24, contestazioni di procedimenti, libri contabili, fatture di acquisti e vendite, documenti bancari, carte relative alla Cassa integrazione.

Solo rimettendo ordine nell’archivio Scorza ricostruisce la storia professionale di ogni querelante e a dimostrare l’insussistenza delle accuse. Le sue società, in effetti, hanno sempre applicato il contratto collettivo nazionale e quello integrativo provinciale per le imprese edili e affini. Risultato giudiziario? Assolto perché il fatto non sussiste, sentenzia lo scorso 12 febbraio il Tribunale di Lecce. In assenza di ricorso in Corte d’appello, l’assoluzione è diventata definitiva.

«Non soltanto Scorza era in regola con pagamenti e contributi» dice a Panorama l’avvocato Valerio Spigarelli, che ha curato la difesa con Giuseppe Bonsegna e Francesco Galluccio Mezio. «Nelle udienze è risultato paradossalmente che nelle sue aziende erano rappresentate tutte e tre le sigle sindacali e che gli stipendi erano mediamente i più alti della provincia. Non c’era un’ora di straordinario non remunerata».

In effetti, anche dopo il clamore mediatico dell’inchiesta è le dimissioni di Scorza dall’amministrazione societaria, non un solo operaio viene licenziato, i sindacati testimoniano in udienza la buona condotta del datore di lavoro, le banche non chiudono i rubinetti del credito. «In un certo senso» sospira Scorza «è come se a quelle accuse stupefacenti, schiavitù, acqua negata all’operaio assetato, trattamenti da Terzo mondo, ci credesse solo la Procura».

Dodici anni sono tanti. «Infiniti, direi. In un Paese civile la giustizia può essere così lenta? Ero nel pieno dello sviluppo aziendale quando mi hanno obbligato a fermarmi». Dalle carte emerge che negli anni 2001,2002 e 2003 il gruppo corrisponde salari per un importo complessivo di oltre 53 milioni di euro, mentre ai dipendenti vengono addebitati danni e multe stradali per circa 11.800 euro. «Secondo l’accusa avrei commesso un’estorsione per una cifra pari allo 0.2 per cento delle remunerazioni corrisposte, per non parlare dei contributi versati, negli stessi anni, per oltre 1 milione» osserva Scorza. Che oggi, guardando quel che ha creato, ha solo voglia di recuperare il tempo perduto. «Siamo arrivati a 150 operai, nei primi anni del 2000 fatturavamo 43 milioni. Poi è arrivata la bufera giudiziaria ed economica. L’impegno nella difesa è stato totalizzante, ho trascurato l’azienda».

aaaI tre figli, avuti dall’ex moglie, gli sono stati vicino. «Nei 40 giorni di domiciliari il più piccolo, Andrea, dormiva nel letto con me. Era come se volesse proteggermi. Loro mi hanno sempre visto uscire alle 6 del mattino e rientrare a casa tardi con le mani sporche di lavoro». La voce è colma di amarezza. «Il tempo perduto non torna. E se qualcuno “googla” il mio nome, compaiono le accuse di schiavismo. L’immagine per un imprenditore è importante.

L’assoluzione ha avuto un trafiletto a pagina 30».

Dopo l’inchiesta i controlli si sono moltiplicati, dall’Ispettorato del lavoro all’Agenzia delle entrate, per non parlare dei processi davanti al giudice del lavoro. Scorza non ha mai perso, non ha avuto uno straccio di multa. «Hanno sbagliato uomo. Hanno preso di mira uno svizzero in Salento» ironizza lui. «Io non credo ai complotti. La Procura non poteva ammettere che aveva preso un granchio». Eppure non traspare un filo di rabbia. «Non ne ho il tempo, l’odio non so neppure che cosa sia. Sono un uomo della terra. II mio destino è lavorare».