X

La Cassazione enuncia un nuovo principio di diritto: sì al sequestro impeditivo nel processo a carico degli enti

sequestro

Il d.lgs. 231/01 infatti non prevede il sequestro impeditivo: l’art. 53 prevede unicamente il sequestro preventivo a fini di confisca. Per questi motivi una società, cui era stato applicato il predetto sequestro impeditivo aveva proposto istanza al Tribunale del Riesame ma non aveva ottenuto l’annullamento del provvedimento cautelare, bensì la conferma dello stesso. A questo punto, la s.r.l. decideva di ricorrere per Cassazione, proponendo varie ed articolate censure, fra cui:

  • l’impossibilità di disporre il sequestro impeditivo a carico dell’ente, poichè misura non prevista dal decreto;
  • la mancata motivazione del Tribunale circa gli elementi che fondano la responsabilità dell’ente ed ovvero il cosiddetto fumus allargato.

La Cassazione coglie allora l’occasione per esprimersi circa la compatibilità del sequestro impeditivo rispetto al sistema delineato dal d.lgs. 231/01. Innanzitutto, ammette che il citato sequestro non sia previsto dal testo legislativo. Cita, allora, la Relazione Ministeriale che spiegava le ragioni della mancata previsione dello stesso:

la funzione cautelare da questo assolta (impedire che “la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati)”, avrebbe determinato “una incompatibilità con le sanzioni interdittive irrogabili nei confronti delle persone giuridiche”, anch’esse aventi la stessa finalità.

La Corte si chiede allora se il sequestro impeditivo ha lo stesso raggio d’azione delle misure interdittive, poichè se la risposta è positiva, il sequestro non potrà essere applicato, se la risposta è negativa invece dovrà essere ammesso. Da qui, pare già chiara l’evidente intenzione di forzare le norme.
Potrebbe sembrare che la misura interdittiva dell’esercizio dell’attività, bloccando l’attività dell’ente, sortisca lo stesso effetto del sequestro impeditivo, che è proprio quello di evitare la libera disponibilità dei beni. Tuttavia, ammonisce la Corte, quest’identità è soltanto apparente: l’effetto è simile, ma nel caso delle interdittive è solo indiretto e tendenzialmente temporaneo. Inoltre, il sequestro sarebbe volto a impedire l’utilizzazione dei singoli beni. Tramite questo sofismo, la Corte ritiene che a livello sistematico l’applicazione del sequestro impeditivo sia ammissibile!
Aggiunge che, a livello letterale, “la norma che consente di applicare il sequestro impeditivo anche agli enti, va rinvenuta nell’amplissimo disposto dell’art. 34 a norma del quale “per il procedimento relativo agli illeciti amministrativi dipendenti da reato si osservano (….) in quanto compatibili, le disposizioni del codice di procedura penale e del D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271“.
Infine, un’interpretazione costituzionalmente orientata non consentirebbe di teorizzare a favore degli enti un regime privilegiato rispetto a quello previsto dalle persone fisiche.
Pronuncia, dunque, il seguente principio di diritto: “in tema di responsabilità dipendente da reato degli enti e persone giuridiche, è ammissibile il sequestro impeditivo di cui al comma primo dell’art. 321 c.p.p., non essendovi totale sovrapposizione e, quindi, alcuna incompatibilità di natura logica-giuridica fra il suddetto sequestro e le misure interdittive”.
Ebbene, si esamini ora la seconda censura proposta dalla ricorrente ed ovvero quella relativa al cosiddetto fumus allargato. Sostiene la società che, per poter legittimare una misura cautelare di sequestro a carico dell’ente, occorre che il fumus boni juris abbia ad oggetto non solo “gli indizi del reato presupposto, ma anche tutti gli altri elementi che fondano la responsabilità dell’ente (cd. fumus allargato), ossia: a) che il reato sia ricompreso fra quelli previsti dallo stesso decreto; b) che l’autore si trovi in posizione apicale o subordinata all’interno dell’ente; c) l’interesse per l’ente o il vantaggio dal medesimo ottenuto dal reato, d) la colpa organizzativa.”. Il ragionamento sembra privo di macchia.
La risposta della Corte è tuttavia laconica e impietosa. Richiamando pronunce precedenti, afferma che “in tema di responsabilità dipendente da reato degli enti e persone giuridiche, per il sequestro preventivo dei beni di cui è obbligatoria la confisca, eventualmente anche per equivalente, e quindi, secondo il disposto del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 19, dei beni che costituiscono prezzo e profitto del reato, non occorre la prova della sussistenza degli indizi di colpevolezza, nè la loro gravità, nè il “periculum” richiesto per il sequestro preventivo di cui all’art. 321 c.p.p., comma 1, essendo sufficiente accertarne la confiscabilità una volta che sia astrattamente possibile sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato”.
Per queste ragioni, ritiene di respingere anche la seconda censura.
La sentenza perviene ad esiti discutibili.
Non soltanto si assiste ad una palese forzatura delle norme, ma anche ad una contraddizione in termini.
E’ noto, infatti, che il d.lgs. 231/01 configuri un microcosmo a sé, che incardina in capo all’ente un procedimento dotato di autonome e speciali caratteristiche. E poiché ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, pare chiaro che la mancata previsione del sequestro impeditivo costituisca una scelta del legislatore, sebbene suffragata dalle motivazioni affrontate nella Relazione. Né un’analisi della differenza fra gli effetti del sequestro e quelli delle misure interdittive, può valere a giustificare un’estensione siffatta.
Non solo: contraddittoria appare a maggior ragione la motivazione con cui rapidamente si respinge la censura. E’ vero che pronunce precedenti hanno chiarito che non occorre per il sequestro preventivo a fini di confisca lo stesso regime di indizi richiesto invece per il sequestro di cui all’art. 321, comma 1, c.p.p., ma nel caso di specie la Corte sta validando l’applicazione proprio del sequestro di cui all’art. 321 c.p.p., con tanto di enunciazione del principio di diritto! Se quindi il sequestro applicato è quello impeditivo, tramite il rinvio al codice di procedura penale, allora i presupposti per la sua applicazione dovranno necessariamente essere quelli ivi previsti e non quelli gradati richiesti invece per l’autonoma figura del decreto.
La contraddizione è in re ipsa. Da un lato la Corte ritiene di poter applicare il sequestro impeditivo, dall’altro intende non rispettarne i presupposti che ne legittimano l’adozione.

 

Avv. Serena Miceli

Avv. Michele Bonsegna