riforma

Il 31 gennaio 2019 è entrato in vigore il chiacchierato decreto “anticorruzione” che ha apportato una serie di modifiche rilevanti al codice penale, al codice di procedura e dulcis in fundo anche al d.lgs.231/01.

Lo scopo precipuo della novella è il contrasto dei fenomeni corruttivi, come evoca l’appellativo che è stato attribuito al decreto. La delicata posizione dell’Italia nelle classifiche internazionali nonché la percezione della corruzione a livello globale e nazionale, hanno determinato il legislatore a stilare un provvedimento normativo ad ampio raggio. Tuttavia, già prima facie, la giustizia penale appare utilizzata come strumento di politica sociale che si risolve in un sostanziale e generale inasprimento sanzionatorio.

Prima di affrontare le modifiche in materia di responsabilità degli enti, vale qui la pena di fare un breve riferimento alle novità più importanti. Innanzitutto sono aumentate le pene  per alcune fattispecie e ridisegnati i contorni di altre. Viene ad esempio abrogato l’art. 346 c.p. che prevedeva il reato di “Millantato credito“, assorbito dalla nuova formulazione dell’art. art. 346-bis c.p. che prevede il delitto di “Traffico di influenze illecite“.

Vengono inoltre apportate delle modifiche in tema di confisca e in tema di pene accessorie. Quest’ultime vengono innalzate fino a divenire quasi perpetue e sono state considerate il fulcro della nuova riforma.

Ancora, a mitigare gli effetti di questa novella punitiva, vi è la previsione di una nuova speciale causa di non punibilità per chi entro 4 mesi dalla commissione del fatto, fornisce un effettiva collaborazione alle indagini mettendo a disposizione quanto percepito o l’equivalente in denaro (art. 323- ter c.p.).

La novità più discussa e al centro di dibattiti dottrinali è stata sicuramente quella in tema di prescrizione: la nuova disciplina restrittiva prevede che la prescrizione venga sospesa dopo la pronuncia della sentenza di primo grado o del decreto penale di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto. Tuttavia l’entrata in vigore di questa speciale disciplina è stata differita ad un momento successivo, in particolare al 1 gennaio 2020.

Giungiamo ora alle modifiche apportate al d.lgs.231/01.

Innanzitutto è stata prevista la sanzione pecuniaria fino a 200 quote, in relazione alla commissione dei delitti di cui agli artt. 318, 321, 322, commi primo e terzo, 346-bis c.p.

Tuttavia la rivoluzione riguarda le sanzioni interdittive: per i reati previsti dal comma secondo e terzo dell’art. 25 si applicheranno sanzioni interdittive ben più alte! Ed infatti nel caso in cui il reato sia stato commesso da apicale le sanzioni avranno durata non inferiore a quattro anni e non superiore a sette, mentre nella ipotesi meno grave in cui il fatto illecito sia attribuito al cosiddetto sottoposto il range andrà dai due ai quattro anni.

E’ prevista, tuttavia, una speciale ipotesi di ravvedimento operosomutatis mutandis: viene aggiunto all’art. 25 un comma 5 bis, che così dispone:

5-bis. Se prima della sentenza di primo grado l’ente si e’ efficacemente adoperato per evitare che l’attivita’ delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione dei responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilita’ trasferite e ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi, le sanzioni interdittive hanno la durata stabilita dall’articolo 13, comma 2

Anche questa previsione pare rispondere alla logica del bastone e della carota che anima l’intero spirito del d.lgs. 231/01: da un lato le sanzioni interdittive vengono inasprite in caso dei delitti contro la P.A. citati, dall’altro si concede all’ente di riportarle entro i normali limiti se dimostra un atteggiamento collaborativo e di segno opposto rispetto all’illecito attribuitogli. E’ ancora troppo presto per avanzare letture critiche della novella, tuttavia, non è difficile pensare che, quando richiede l’assicurazione delle prove dei reati e l’individuazione dei responsabili, possa ingenerare il fenomeno – peraltro non nuovo – della ricerca di un capro espiatorio, al fine di ottenere i benefici suddetti. Benefici che sono apprezzabili a maggior ragione quando si tratta di durata delle sanzioni interdittive, già temutissime quando contenute nel tempo.

Del resto, c’è già chi in dottrina paventa censure di costituzionalità per il diverso trattamento sanzionatorio riservato agli enti per i delitti contro la P.A., rispetto a quello disposto per reati ritenuti anche più gravi dal codice Rocco.

Ancora una volta, questo non pare essere altro che il riflesso di una crociata avverso la corruzione senza eguali.

 

Avv. Michele Bonsegna

Avv. Serena Miceli