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Il rapporto tra la sanzione pecuniaria “231” e la procedura concorsuale in essere.

Il testo del D. Lgs. n. 231/2001 non disciplina in maniera espressa il rapporto tra la responsabilità amministrativa dell’ente derivante da reato e la procedura concorsuale.

In particolare, l’assenza di disciplina in tale specifica materia si è tradotta nella incertezza in merito alla possibilità di applicare la sanzione pecuniaria ex art. 10 anche alla società fallita.

Tale lacuna è stata colmata dalla sentenza della Cassazione, sez. V, Sent., (ud. 26.09.2012) 15.11.2012, n. 44824. Con detta pronuncia[1] si è definitivamente sancita l’applicabilità della responsabilità amministrativa anche all’ente dichiarato fallito o soggetto a procedura concorsuale, con la conseguenza che la sanzione pecuniaria costituirà credito statale – assistito da privilegio – nel passivo fallimentare.

Ebbene, secondo la Suprema Corte, non troverebbero rilievo le argomentazioni (addotte dalla difesa del Fallimento) di natura sistematica che vorrebbero escludere l’applicabilità della sanzione di cui al D. Lgs. 231/2001 sulla base del fatto che gli articoli 28 e 32 del D. Lgs. 231/2001 non contemplano il fallimento: non vi sarebbe, infatti, ragione di operare una distinzione dalle altre cause modificative che non estinguono il reato; né risulterebbero dirimenti le osservazioni sulla non trasmissibilità agli eredi dell’obbligo di pagamento delle sanzioni amministrative, ai sensi dell’art. 7, legge n. 689 del 1981 considerato che il fallimento non comporta alcuna successione ma esclusivamente l’apertura di una fase di liquidazione di tipo concorsuale.

Ciò posto, si deve considerare la società quale entità ancora “viva” e, per l’effetto, suscettibile di subire una sanzione amministrativa pecuniaria.

A nulla rilevano, poi, le argomentazioni che collegano la disapplicazione della sanzione pecuniaria 231 alla inesigibilità del credito. Lo Stato, infatti, diviene creditore della somma indicata nella sentenza di condanna del Giudice penale e, pertanto, può insinuarsi al passivo. Tanto emerge chiaramente dal testo della sentenza in esame: “[…] la sanzione irrogata nel corso del fallimento potrà legittimare la pretesa creditoria dello Stato al recupero dell’importo di natura economica mediante la insinuazione al passivo. Si tratta, peraltro, di credito assistito da privilegio, la cui funzione pratica sarebbe assai limitata se tale causa di prelazione non potesse essere azionata in caso di fallimento della società”.

Si può, dunque, concludere osservando come l’apertura del fallimento, non comportando l’estinzione della società, ma solo la sua messa in liquidazione, consente comunque l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria dipendente da reato. A seguito della irrogazione di quest’ultima, pertanto, lo Stato ha diritto ad insinuarsi al passivo del fallimento con privilegio, previo deposito della domanda ed accertamento concorsuale del credito.

Dott. Giuseppe De Pascalis

Avv. Michele Bonsegna

 

 

 

[1] Sentenza conforme è Sez. U, Sentenza n. 11170 del 25/09/2014 Cc. (dep. 17/03/2015 ) Rv. 263682.