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Gli ‘ermellini’ hanno annullato con rinvio la sentenza nei confronti di Stefano Zampino, dirigente dell’ufficio strade della Provincia. Alcuni imputati sono stati giudicati con il rito ordinario, conclusosi lo scorso 21gennaio, con la condanna di 4 persone.
LECCE. Il terzo atto del processo Galatea 2 si conclude con l’annullamento senza rinvio delle sentenze di primo e secondo grado. La sesta sezione della Corte di Cassazione ha assolto con la formula “perché il fatto non sussiste”: Mirko Vitali, 43 anni di Matino, funzionario del Comune di Parabita; l’ex sindaco di Parabita il 61enne Adriano Merico, il consigliere comunale Stefano Prete, 42enne di Parabita e il segretario comunale di Acquarica del Capo, Giuseppe Leopizzi, 50 anni di Merine. I quattro imputati erano stati condannati in primo e secondo grado a 4 mesi di reclusione, con l’accusa di abuso d’ufficio.
Inoltre, gli “ermellini” hanno annullato con rinvio la condanna a Stefano Zampino, 51 anni originario di Napoli ma residente a Lecce, dirigente dell’ufficio strade della Provincia. Per lui, era stata confermata in secondo grado la pena di 1 anno e 10 mesi, comminatagli in primo, ma adesso dovrà essere celebrato un nuovo processo, innanzi alla Corte di Appello con un differente collegio. I cinque imputati hanno presentato ricorso in Cassazione, attraverso gli avvocati: Giuseppe Bonsegna,Giuseppe e Pasquale Corleto, Luigi Covella, Ernesto Sticchi Damiani, Angelo Vantaggiato ed il professore Franco Coppi.
L’operazione investigativa Galatea 2 è composta da tre distinti episodi. Alcuni imputati sono stati giudicati con il rito ordinario, conclusosi lo scorso 21 gennaio, con la condanna di quattro persone. Nello specifico, il collegio della Seconda Sezione Penale ha inflitto una pena di: 3anni e 6 mesi, al candidato Sindaco di Gallipoli, Flavio Fasano; 2 anni, invece, per Gino Siciliano, amministratore unico della “FIVE SRL”(egli è conosciuto come ex A.D. della Lupiae Servizi); 1 anno e 8 mesi per Giovanni La Gioia, imprenditore di Trepuzzi; 8 mesi per Michele Patano, direttore tecnico della COTUP. Assoluzione, infine, per Michela Corsi, impiegata presso l’autorità di vigilanza dei lavori pubblici e accusata del reato di “corruzione per l’esercizio della funzione”.
Riguardo la posizione dei quattro imputati assolti quest’oggi con sentenza della Corte di Cassazione, ricordiamo che, secondo l’accusa, Prete, Leopizzi e Merico, avrebbero seguito una procedura ritenuta dai giudici illegittima, per l’assunzione di Vitali, in qualità di dirigente del Comune di Parabita. Secondo la Procura, quest’ultimo sarebbe stato “raccomandato” da Fasano.
Invece, Zampino risponde di “falso in atto pubblico aggravato” in relazione alla gara d’appalto, bandita dalla Provincia di Lecce ( Fasano all’epoca dei fatti avvenuti tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009, era assessore ai lavori pubblici della Provincia di Lecce) per la rimozione della cartellonistica stradale e la gestione degli spazi pubblicitari.
Invece, per la vicenda della “turbativa d’asta”, per l’affidamento dei lavori per la realizzazione del nuovo Istituto Nautico di Gallipoli sono stati assolti sia Fasano in primo grado che Barone, nel processo di Appello. Ricordiamo che l’avvocato Alfredo Barone 60enne originario di Biella, già sindaco del comune di Parabita, difeso dagli avvocati Giuseppe e Michele Bonsegna e Francesco Galluccio Mezio è stato assolto in Appello con la formula, “perché Il fatto non costituisce reato”. Egli in primo grado era stato condannato a 10 mesi.
Articolo tratto da leccenews24.it
A distanza di 12 anni dai fatti contestati, il verdetto: “Il fatto non sussiste”. In 19 si erano costituiti parte civile.
LECCE – Si è chiusa a distanza di dodici anni con un’assoluzione piena, perché il fatto non sussiste, la vicenda giudiziaria che vedeva come protagonista l’imprenditore neretino Sergio Scorza; il fratello Piero, 49 anni e Maurizio Vergari, ragioniere neretino di 53 anni.
Ai tre erano contestati diversi episodi di presunta estorsione consumata ai danni dei dipendenti delle aziende di cui erano titolari o dirigenti. Ottantanove le persone offese di cui 19 si erano costituiti parte civile, anche se a dare avvio all’inchiesta era stata la denuncia di quattro dipendenti.
Secondo l’ipotesi accusatoria, gli imputati avrebbero sottoposto i lavoratori, minacciandoli di licenziamento, a turni di lavoro di dodici ore al giorno (dalle 5.30 alle 17.30), compreso il sabato, attestando falsamente altri orari. Inoltre, alcuni dipendenti sarebbero stati costretti a lavorare nella masseria di Scorza il sabato, con straordinari non pagati. Tra le accuse vi era poi quella di aver costretto le parti offese a restituire una fetta di stipendio. Alcuni avevano anche dichiarato di essere stati “costretti” a trasformare il proprio rapporto di lavoro da tempo determinato a indeterminato; e a firmare fogli in bianco in cui si assumevano la responsabilità per eventuali danni al materiale e ai mezzi dell’azienda, prestando il consenso per il prelievo dalla retribuzione, degli importi a titolo di risarcimento danni. Il pubblico ministero Giovanni Gagliotta aveva invocato la condanna a 6 anni e 6 mesi per Sergio Scorza e a 5 anni e 10 mesi per Maurizio Vergari, e l’assoluzione per Pietro Scorza.
Accuse che sono state puntualmente confutate e demolite dal collegio difensivo degli imputati, composto dagli avvocati Giuseppe e Michele Bonsegna, Francesco Galluccio Mezio e Valerio Spigarelli. L’avvocato Bonsegna ha dimostrato come il contratto aziendale sottoscritto dai lavoratori fosse addirittura migliorativo di quello nazionale, con turni di lavoro di otto ore e straordinari pagati. Sulla restituzione di parte dello stipendio è stato dimostrato come in tre anni, a fronti di 5 milioni e mezzo di euro versati, siano tornati nelle casse aziendali solo 11mila euro per addebiti tutti regolarmente contestati. Il lavoro nella masseria, invece, era facoltativo e retribuito. In sede di controesame delle parti offese Giuseppe Bonsegna aveva messo in risalto come la denuncia fosse stata redatta con termini ed espressioni di cui il denunciante non conosceva il significato.
I giudici della seconda sezione penale (presieduta da Pasquale Sansonetti, a latere Marcello Rizzo e Michele Toriello) hanno condiviso in pieno la tesi difensiva, assolvendo con formula piena dal reato di estorsione Sergio Scorza. Pietro Scorza e Vergari sono stati assolti da quasi tutti i presunti episodi estorsivi, a eccezione di quattro casi derubricati in violenza privata, reato per cui è stata dichiarata l’intervenuta prescrizione.
Si chiude così una lunga vicenda giudiziaria che aveva portato nel 2004 all’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare per i fratelli Scorza, finiti ai domiciliari. Inizialmente era stato ipotizzato anche il reato di riduzione in schiavitù, poi annullato dal Riesame e non contestato in sede di richiesta di rinvio a giudizio. Le parti civili sono assistite dagli avvocati Marcello Petrelli, Giuseppe Mariani, Ezio Maria Tarantino, Andrea Frassanito e Francesco Polo, Paolo De Pasquale e Tommaso Valente.
Articolo tratto da lecceprima.it