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CONTINUITÀ D’IMPRESA E SANZIONI INTERDITTIVE: MODIFICHE AL DECRETO 231/2001

Favorire la continuità d’impresa e tutelare gli impianti di interesse strategico nazionale. Garantire un corretto bilanciamento tra l’interesse ai beni-servizi essenziali per il sistema economico e le tutele sociali al lavoro, alla salute e alla salubrità ambientale. È questa la direzione delle nuove modifiche al d.lgs. 231 del 2001, che estendono i casi di applicazione del commissariamento giudiziale in luogo della sanzione interdittiva. 

Il recente decreto n. 2 del 5 gennaio 2023, recante “Misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale” ha fissato una serie di nuove norme penali finalizzate alla salvaguardia della continuità d’impresa. In particolare, l’articolo 5 del decreto, contenente le modifiche alla normativa sulla responsabilità penale d’impresa, si occupa di promuovere una scelta del giudice orientata meno all’applicazione di una sanzione interdittiva e più alla prosecuzione dell’attività d’impresa attraverso il commissariamento giudiziale. 

Più esattamente, stando alla nuova normativa, il passaggio al commissariamento giudiziale in luogo dell’interdizione sarà automatico non solo – come già previsto – ove l’interruzione dell’attività causerebbe un grave danno alla collettività e all’occupazione ma anche nei casi in cui “l’attività è svolta in stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale”. Tanto dice il primo comma lett. b-bis del novellato art. 15, d.lgs. 231/2001, al quale si rinvia anche per i casi di misura interdittiva applicata con finalità cautelare.

A ciò si aggiunga la previsione, contenuta dal nuovo comma 1-bis dell’art. 17, secondo cui le sanzioni interdittive non potranno essere applicate “se l’ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi”. Il riferimento, naturalmente, è al c.d. modello organizzativo-gestionale 231, uno strumento non obbligatorio, ma la cui utilità è sempre più evidente, non solo in termini di autoregolamentazione delle imprese più virtuose, ma anche di rimedio posteriore rispetto alla contestazione penale. 

Inoltre, la nuova normativa si occupa anche del sequestro preventivo ex art. 53 d.lgs. 231/2001.
Il nuovo art. 53 comma 1-ter, infatti, sempre nelle ipotesi di stabilimenti industriali di interesse nazionale – “o loro parti, ovvero impianti e infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva” – rinvia al nuovo art. 104-bis delle disposizioni attuative del c.p.p. Dalla lettura delle due disposizioni, emerge un quadro in cui, al fine di garantire la continuità d’impresa e lo sviluppo aziendale, il giudice, deve di norma autorizzare l’utilizzo dei beni sequestrati, seppur entro un quadro di prescrizioni, che deve dettare al fine di “realizzare  un bilanciamento  tra  le   esigenze   di   continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela  della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute, dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi”.

Da ultimo, l’articolo 7 del d.l. 2/2023 aggiunge che non è punibile “chiunque agisca al fine di dare esecuzione a un provvedimento che autorizza la prosecuzione dell’attività di uno stabilimento” di interesse strategico nazionale, sempre a condizione che questi abbia agito nel rispetto delle prescrizioni dettate dallo stesso provvedimento.

In una fase di difficoltà economica e carenza di liquidità dettate, fra le altre cose, dal caro energia, le norme del d.l. 2/2023 sembrano potersi riconoscere senz’altro come un timido tentativo di tutela degli interessi sociali connessi alla continuità d’impresa, ma anche come una – l’ennesima – conferma del valore sia preventivo che salvifico di un modello organizzativo gestionale per le imprese, la cui attività è esposta al rischio di un’interruzione dettata dall’applicazione di sanzioni interdittive.

Avv. Michele Bonsegna
Dott. Luigi Tarricone