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IL RESPONSABILE ANTICORRUZIONE DI UNA SOCIETÀ IN CONTROLLO PUBBLICO NON È INCANDIDABILE ALLE ELEZIONI AMMINISTRATIVE LOCALI.

Come noto, la Legge Anticorruzione n. 190 del novembre 2012 – che ha introdotto Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione” – dispone, nell’ottica di contrastare fenomeni corruttivi in seno alla Pubblica Amministrazione, l’istituzione di un organo di controllo interno a ciascuna P.A., deputato alla predisposizione dei piani triennali anticorruzione (piani rivolti a ridurre il rischio di fenomeni corruttivi della singola PA, nel quadro più generale del Piano Nazionale Anticorruzione): il responsabile per la prevenzione della corruzione.

Quest’ultimo, di regola, è un dirigente amministrativo di ruolo di prima fascia in servizio e, negli enti locali, “è individuato, di norma, nel segretario, salva diversa e motivata determinazione” (art. 1, comma 7, l. n. 190/2012).

L’art. 1 del d. lgs. 22 gennaio 2013, n. 39, di attuazione della l. n. 190/2012, poi, estende l’obbligo di nomina di un responsabile per la prevenzione della corruzione anche agli enti di diritto privato soggetti a controllo da parte dell’ente locale.

La normativa nazionale di cui al Piano Nazionale Anticorruzione, dunque, ha richiesto la introduzione della figura del Responsabile per la prevenzione della corruzione, organo deputato a vigilare sul rispetto del piano anticorruzione interno a ciascuna P.A., anche per quegli enti che, pur formalmente privati, sono in diretto controllo pubblico, quali le società partecipate e controllate.

L’obiettivo perseguito dal legislatore nel riformare la normativa sulla corruzione e nell’introdurre figure quali l’ANAC ed i responsabili anticorruzione locali è quello di garantire la maggiore trasparenza possibile e di limitare al massimo le commistioni “sospette” tra pubblico e privato (privato in cui rientrano anche le società controllate o partecipate da Enti Locali).

Sulla scorta di tale obiettivo si deve collocare, pertanto, anche la legislazione che restringe la possibilità di assumere cariche elettive per coloro che rivestono determinate posizioni all’interno di una società controllata.

Le norme cui si fa riferimento sono, in particolare:

  • l’art. 13, comma 3, del d. lgs. n. 39/1013, secondo il quale: “Gli incarichi di presidente e amministratore delegato di ente di diritto privato in controllo pubblico di livello locale sono incompatibili con l’assunzione, nel corso dell’incarico, della carica di componente della giunta o del consiglio di una provincia o di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione della medesima regione”;
  • L’art. 60, comma 1, n. 10) del Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico degli enti locali) prevede l’ineleggibilità a consigliere comunale per: “i legali rappresentanti ed i dirigenti delle società per azioni con capitale superiore al 50 per cento rispettivamente del comune [o della provincia]”;
  • L’art. 63, comma 1, n. 1 del Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 prevede l’incompatibilità con la carica di consigliere comunale per “l’amministratore o il dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento di ente, istituto o azienda soggetti a vigilanza in cui vi sia almeno il 20 per cento di partecipazione rispettivamente da parte del comune [o della provincia] o che dagli stessi riceva, in via continuativa, una sovvenzione in tutto o in parte facoltativa, quando la parte facoltativa superi nell’anno il dieci per cento del totale delle entrate dell’ente”.

Occorre evidenziare che le due norme citate sono considerate insuscettibili di applicazione analogica dalla giurisprudenza di legittimità e da quella costituzionale (si rimanda, tra le più recenti decisioni sul tema, a Corte Cost. 120/2013), sul presupposto che, nel nostro ordinamento, il diritto di elettorato passivo è la regola, mentre la sua limitazione costituisce un’eccezione. Perché possa aversi una restrizione di tali diritti, dunque, è necessaria una previsione espressa del legislatore.

Nulla afferma la normativa sopra illustrata su un’eventuale incandidabilità del responsabile per la prevenzione della corruzione di una società a controllo pubblico rispetto alla carica di consigliere del comune che controlla la società!

Alla luce della stessa, dunque, risulta che per il responsabile per la prevenzione della corruzione di una società partecipata dal comune non sussista ineleggibilità alla carica di consigliere comunale, poiché questa condizione ostativa è legata alla sola posizione di vertice all’interno dell’amministrazione (intesa come attività amministrativa in senso stretto, come governance, svincolata dall’attività di voice e da quella di controllo).

Si deve ritenere, altresì, che non sussiste incompatibilità tra le cariche di cui trattasi, per i medesimi motivi succitati: il conflitto di interesse che il legislatore mira ad eliminare, attraverso le norme del Tuel e della Legge Severino, è quello tra componente dell’organo di indirizzo politico del comune e manager della società a partecipazione pubblica.

Tale conflitto di interesse non appare, invece, sussistere nell’ipotesi in cui il componente di un organo di controllo (il responsabile per la prevenzione della corruzione), quindi non dirigenziale, assuma l’incarico elettivo di consigliere comunale.

Dott. Giuseppe De Pascalis

Avv. Michele Bonsegna