CEDU

Il 28.6.2018 la Corte di Strasburgo ha gettato la sua scure sull’Italia, l’ennesima volta e ancora per la confisca.

La Grande Chambre, nella decisione “G.I.E.M. srl e altri contro Italia” ha giudicato illegittima l’applicazione della confisca in alcuni casi di costruzioni abusive, fra cui spicca, per notorietà, Punta Perotti (Bari).

I precedenti

La decisione, impopolare per alcuni versi, ha ripreso le notissime “Sud Fondi e altri contro Italia” e “Varvara contro Italia“, in cui la Corte sovranazionale aveva già chiarito, in maniera limpida, che la confisca deve rispettare l’art. 7 CEDU che è il corrispondente, con le opportune differenze, del nostro principio di legalità. “Nulla poena sine lege”? Ebbene sì. E la confisca, se non fosse ancora chiaro, per la Corte di Strasburgo è una sanzione di natura penale. A nulla valgono gli appellativi che il legislatore nazionale le affibbia: la Corte EDU guarda alla sostanza, non alla forma e le ragioni nobili per cui noi possiamo definirla “misura di sicurezza” non bastano o quantomeno non convincono. Il fine giustifica i mezzi? La difesa sociale, la tutela del paesaggio e del territorio, il famoso effetto deterrente non sono sufficienti a disancorare una misura afflittiva come la confisca dai requisiti minimi richiesti dal principio di legalità.

Le società, contro cui la confisca era stata disposta, non erano mai state condannate in un processo che avesse a riguardo l’illecito penale commesso: nessuna colpa è stata accertata. A dire il vero non erano state neanche imputate, perchè gli unici imputati erano le persone fisiche.

Parzialmente diversa è invece la questione riguardante il Sig. Filippo Gironda, anch’egli ricorrente. Nel suo caso la Corte ritiene sia stata violata la presunzione d’innocenza poichè egli sarebbe stato riconosciuto colpevole nonostante il procedimento per il reato si fosse concluso per prescrizione.

Le parole della Corte

Infine e soprattutto, i giudici di Strasburgo ritengono che nei confronti di tutti i ricorrenti sia stato violato il diritto di proprietà. Scrive la Corte:

“there must exist a reasonable relationship of proportionality between the means employed and the aim sought to be realised: the Court must determine whether a fair balance has been struck between the demands of the general interest in this respect and the interest of the individual company concerned. In so determining, the Court recognises that the State enjoys a wide margin of appreciation with regard to the means to be employed and to the question of whether the consequences are justified in the general interest for the purpose of achieving the objective pursue”

La confisca attuata è quindi ritenuta eccessiva rispetto alle violazioni commesse: ci deve essere – l’imperativo è chiaro nell’uso del <<must>>- proporzionalità. E proprio questa è mancata nei casi in esame, con pregiudizio e sacrificio inaccettabile per il diritto di proprietà.

Conclusioni

Per questi motivi, la Corte ha condannato l’Italia, ma si è riservata di decidere in un secondo momento sull’entità del risarcimento, anche per concedere un termine utile ai fini di una transazione fra i ricorrenti e il governo.

La decisione ha suscitato reazioni contrastanti poichè avrebbe salvato i cosiddetti <<ecomostri>>. A ben vedere, tuttavia, la Corte di Strasburgo ha semplicemente ribadito la sua visione della confisca, che rimane in linea con le sue pronunce precedenti. Probabilmente la disciplina contenuta nella legislazione nazionale dovrebbe essere rivista e accordata con le sollecitazioni sovranazionali in tal senso. D’altro canto, l’afflittività della misura in esame non può più essere taciuta ed in effetti la Corte di Cassazione non ha mancato, in alcune pronunce più recenti, di riconoscerla. Ma se così è, come può essere disposta senza l’accertamento di una responsabilità penale propriamente detta? Come può sfuggire ai dettami del principio di legalità e di colpevolezza?

Avv. Serena Miceli

Avv. Michele Bonsegna